venerdì 9 luglio 2010

Rifugiati abbandonati in Libia come in via Asti

Sono più di 200 i profughi eritrei che la settimana scorsa hanno lanciato una do- manda di aiuto alla comunità internazionale. Sono rinchiusi nel carcere di Al-Braq, nel sud della Libia, da dove sono riusciti a inviare un disperato sms: "Siamo col- piti da malattie contagiose, la tortura è una pratica comune e, quel che è peggio, siamo rinchiusi in celle sotterranee dove la temperatura supera i 40°. Stiamo sof- frendo e morendo". Molti di questi eritrei sono vittime dei respingimenti effettuati da Marina e Guardia di Finanza italiane. In particolare 11 di loro sono stati bloccati in mare il 1° luglio 2009 riportati in Libia e fatti sbarcare. Se fossero riusciti a rag- giungere l’Italia avrebbero chiesto e ottenuto l’asilo politico. La Libia ha il regime che tutti conosciamo e in linea con i propri dettami politici autoritari non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati e non ha una legislazione sull’asilo politico. Lo scorso 30 giugno era iniziata a circo- lare la notizia di una rivolta nelle carceri libiche di Misratah, causata dalla richiesta d’identificazione dei detenuti eritrei, da parte dell’autorità della prigione. L’identificazione sovente implica il rimpatrio e gli eritrei sanno bene che ad aspettarli nel loro paese ci sono carcere, torture e lavori forzati oppure la morte. Dopo aver sedato la rivolta le forze dell’ordine avevano as-
segnato a un altro carcere i più di 200 pro- fughi, trasferimento dentro due container arroventati sotto il sole del Sahara, arrivo a Al-Braq per subire trattamenti inumani: pestaggi e violenze, sistematiche e ripetute. Erano però riusciti a nascondere ai secondini un telefono cellulare, con il quale hanno recapitato al mondo la drammatica richiesta di soccorso, che viene rilanciata per giorni soltanto dall’Unità. Poi la riprendono giornali di altri paese, finalmente an- che gli altri media italiani, e scoppia il caso internazionale: la Libia ha una “protezione” speciale da parte di Silvio Berlusconi, e quindi tocca ai ministri italiani cercare di risolvere la situazione con la proposta di risolvere la questione inserendo i profughi in campi di lavoro. Certo per queste 200 persone, e per chissà quanti altri, non ci sono molte scelte: scappano da un paese in guerra, nel quale verrebbero perseguitati se vi facessero ritorno, vengono torturati in carcere in un paese che non gli riconosce nessun diritto e che gli offre come “salvezza” i lavori forzati. È ovvio che sognino l’Europa per ricominciare a vivere. In par- ticolare l’Italia che dista solo poche ore di navigazione dalle coste libiche, ma cosa li aspetterebbe una volta qui? Ascoltando le testimonianze dei rifugiati che dall’11 settembre 2009 abitano in via Asti verrebbe da dire che i sogni non si realizzano mai. Infatti nell’ex caserma vivono ancora 70 persone alle quali è stato concesso l’asilo
politico, la maggior parte di origine somala e alcuni sudanesi. La quasi totalità ha se- guito corsi di italiano e di avviamento al la- voro, ma praticamente nessuno ha trovato un impiego. Lo scorso autunno quasi 180 rifugiati, tutti uomini, lasciarono la clinica di Corso Peschiera per trasferirsi in via Asti, assecondando la volontà del Comu- ne che aveva promesso una vita dignitosa a ciascuno di loro. Intanto i fondi stanziati per l’emergenza sono finiti e almeno 70 ri- fugiati sono ancora senza un lavoro, sen- za una casa, senza niente. Per chi vive in via Asti sono tempi duri: l’autogestione imposta dalla mancanza di un ente forte che possa ricoprire il ruolo di gerente della struttura, sempre meno presenze di associazioni e volontari, niente più pasti da tre settimane e la scadenza di fine mese entro la quale tutti dovranno lasciare la ex-caserma. Mohammed e Youssef vanno tutti i giorni alla mensa della Caritas: "Non ci portano più da mangiare – racconta Mohammed - e non abbiamo i soldi per fare la spesa. Io vivo da quasi due anni in Italia e non ho trovato lavoro neanche per un giorno. Il Comune ci farà vedere una casa e se noi non accetteremo di trasferirci lì, non potremo nemmeno più tornare qui in via Asti. Sono scappato dalla Somalia dove c’è la guerra, ma ora in Italia non corro il rischio di morire ma non so come vivere. Ho troppi problemi: la casa, il mangiare, il lavoro. Tutto".

Tratto da Terra Comune
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lunedì 28 giugno 2010

piazza rossa è morta

La nuova piazza di Nichelino è nata sotto una cattiva stella e quindi anche l’inaugurazione non poteva che essere un flop. Sarà stato per l’infelice scelta dei tempi, le 15 di una assolatissima domenica di fine giugno con oltre 30° all’ombra, ma solo 200 persone si sono presentate a vedere il taglio del nastro. Tra i presenti: tutto il PD e buona parte della giunta, tutti sul palco naturalmente.

Viste le polemiche che hanno accompagnato i lavori non bastavano i politici, infatti si sono presentati anche i progettisti della piazza. Questi con fare da architetti e ingegneri, quali sono, hanno spiegato il perché delle scelte fatte, parlando di spazi, direttrici, valorizzazioni e altre parole che a noi non urbanisti richiamano poche nozioni e non chiarificano troppo. Poi il colpo di scena; viene spiegato anche a noi mortali il perché di questi pali con tutti i laminati d’acciaio: “sono delle quinte per la chiesa di scuola juvarriana”. Insomma l’idea non è neanche male: la piazza fa schifo, gli edifici che ci si affacciano sono tutti in stile diverso e sono grossomodo inguardabili, l’unica cosa da salvare è la chiesa, quindi cerchiamo di metterla in valore. A mio modestissimo parere l’effetto raggiunto non è quello che si erano prefissati, infatti non avere i pali davanti al Prestige porta a uno sbilanciamento del colpo d’occhio. Mi rendo conto che io sono solo un ragazzetto con il vezzo della fotografia e non lavoro in uno studio d’architetti che fa spendere a un comune 2.5 milioni di euro per il rifacimento di una piazza, ma che vi devo dire il lavoro è venuto male.

Naturalmente non sono il solo a non amare la nuova piazza, anzi una lunga campagna contro la scelta del restiling è stata fatta da un gruppo di cittadini, provocando le ire del sindachissimo. Tutti gli interventi dei politici dal palco, escluso Pansini, hanno rimarcato come queste critiche fossero infondate poiché nate prima della fine dei lavori. Il più arrabbiato è proprio Catizone che quando prende il microfono parla usa toni accesi e perfino alterati, cosa molto insolita nelle sue uscite pubbliche. Il momento di massima tensione è il riferimento a un volantino a firma Comitato Piazza Rossa che alcuni “attivisti” hanno fatto finta di distribuire prima del taglio del nastro.

Qui a mio parere si vede la “Tristezza Nichelino”: un sindaco che urla contro dei suoi concittadini i quali sono così impauriti non hanno nemmeno il coraggio di distribuire il volantino che hanno preparato, ma che lo rendono pubblico nascondendosi dietro lo schermo di un pc. Beneinformati raccontano che al momento dell’organizzazione del volantinaggio si fosse parlato di una messinscena di un funerale, quello del buongusto, che si sarebbe dovuto svolgere in piazza proprio durante l’inaugurazione. Il finto funerale non c’è stato, mentre il vero morto è il Comitato Piazza Rossa. Spero che i ragazzi del comitato mi sappiano smentire.

Qui un post precedente sulla Piazza Rossa.

venerdì 25 giugno 2010

posteggio clandestino

Una domanda. Se uno può spendere decine di migliaio di euro per una macchina, come è possibile che non abbia un euro per parcheggiarla nel posteggio sotterraneo di Piazza Vittorio e la debba lasciare in mezzo alla piazza?
Sarà che non possiedo una macchina e che quindi non mi rovino mai le serate per cercare posteggio, ma penso che chi parcheggia sui marciapiedi è il più incivile dei cittadini. In particolare nelle zone piene di locali che la sera su quei marciapiedi dovrebbero accogliere i fumatori tra una birra e l’altra. A Torino la zona peggiore è quella dei Murazzi dal giovedì alla domenica un serpentone di auto si posteggia sugli ampi marciapiedi da Corso San Maurizio fino al a Corso Vittorio Emanuele II. Esattamente tutta la strada che io percorro per andare da casa fino al parco del Valentino, la mia metà prediletta per le serate estive.
Nel corso del tempo ho reagito in modi diversi a questa invasione di posteggi abusivi, qualche volta me ne lamento, altre cerco di spiegare a chi posteggia quanto sia incivile, una sera in preda a fumi dell’alcol ho fatto saltare un paio di specchietti, seguendo il principio che ho importato da oltralpe. Sabato scorso dopo l’ennesimo zig-zag tra le vetture posteggiate vedo un nutrito gruppo agenti dalle divise più diverse: 5 o 6 vigili, 2 carabinieri e 2 alpini. Stavano chiacchierando davanti alla discesa per scendere ai Murazzi.
Mi avvicino e chiedo di parlare con un vigile, il più alto in grado si rende immediatamente disponibile e gli domando il perché non passino a fare un po’ di multe a tutte queste auto parcheggiate in mezzo alle palle. Il vigile inizia col dirmi che è meglio che io gli lasci fare il suo mestiere e che io mi faccia il mio. Invito a nozze: “Sono un giornalista e di mestiere controllo che lei faccia il suo!”.
La conversazione cambia tono, il Commissario, così si fa riconoscere, mi racconta che ci sono degli agenti in borghese che passano e con una videocamera fanno multe a strascico a tutti quelli parcheggiati male. Bah, mica mi convince! Ho cercato di informarmi in questi giorni per verificare questa notizia, ma con poca fortuna. Unica notizia sicura sulle multe a strascico è l’entrata in servizio di un paio di unità a Milano che sanzionano il parcheggio in doppia fila.
Comunque se non sono lì per fare delle multe e nemmeno per fare il palloncino, domando come mai sono in 10 persone, con dieci pistole, davanti all’ingresso della movida torinese. Il Commissario risponde che sono lì per controllare i documenti agli extracomunitari: “Perché se no, sa quanti ne scendono! Dobbiamo controllare i documenti.”
Insomma a Torino per scelta del comandante i vigili invece di occuparsi del decoro urbano e della viabilità delle strade, vanno in cerca di stranieri. Le ronde non sono funzionate, ma tanto il Chiamparino ci mette i vigili a fare i vigilantes.

lunedì 14 giugno 2010

tutto bene?

Il grande circo mediatico ha acceso le luci sul Sudafrica e alla fine anche i più scettici si sono “ravveduti”, cominciando a osannare la Santa Coppa del Mondo. Il Sudafrica è un paese povero, certo non il più povero dell’Africa, ma comunque distante anni luce da quel benessere che condividono le grandi potenze calcistiche del mondo. In Sudafrica ci sono milioni di persone che vivono sotto il livello di povertà, le città crescono a grande velocità creando una periferia di quartieri-ghetto per i più poveri. Con tutti i soldi spesi per le grandi opere chissà quanto si sarebbe potuto fare per una popolazione che ancora stenta a costruire il proprio futuro dopo il colonialismo e l’apartheid.
Il punto è forse proprio questo: una nazione nata dalle ceneri di una colonia quanto ci metterà per raggiungere la propria identità? Per il caso sudafricano a rendere le cose più difficili ci ha pensato l’apartheid ereditato dalla colonizzazione, rendendo ancora più lungo il cammino verso l’unità nazionale. Ci sono commentatori, come il lucido Matteo Fagotto, che ritengono proficua l’unione di tutti i sudafricani anche se solo per le poche ore delle partite.

A gennaio si è svolta la Coppa d’Africa, per raggiungere l’Angola, paese che ha ospitato la manifestazione la nazionale togolese ha optato per il pullman. Il Togo dista migliaia di km dall’Angola e per arrivarci bisogna attraversare diversi stati, al confine tra Congo e Angola il pullman della nazionale togolese è stato vittima di un attentato. Tre i morti, numerosi feriti e la federazione togolese ritira la nazionale dalla competizione. Le nazionali africane non sono ricche come quelle europee, quindi niente aerei e alberghi extralusso o grandi premi in denaro, rimangono però un’ottima vetrina per i giocatori che vogliono tentare il salto del mediterraneo per approdare in club uefa.

La maggior parte dei sudafricani non si può permettere un biglietto per andare a vedere i dorati mondiali, negli stadi nuovi di zecca finanziati con soldi statali sottratti qua e là dai fondi per lo sviluppo del paese, quindi cerca di partecipare come può. Andando a vedere gli allenamenti, questi gratis e aperti al pubblico, delle grandi nazionali europee e sudamericane o andando a vedere le poche partite gratuite che hanno fatto da cornice ai mondiali. Cronaca di pochi giorni fa i 20 feriti nella ressa per andare a vedere un amichevole a Soweto tra la Nigeria e Corea del Nord.

Il calcio stellato delle grandi nazionali, dei contratti milionari e dell sistema economico che ci gravita attorno è per molti aspetti una metastasi del nostro sistema, non capisco perché deve essere esportato. E’ uno dei grandi vizi occidentali in cui tanti soldi e tantissima popolarità, trasformano il calciatore in un eroe. Pensate che danni può fare questa malsana combinazione in un paese che africano. Il sempre buon Weah si è candidato nel 2004 per diventare presidente della Liberia, avendo buone possibilità di essere eletto. Così non fu, ma il saggio centravanti si è iscritto a una scuola statunitense per ricandidarsi tra qualche anno quando avrà dalla sua anche un bel certificato di laurea. Non ho nessuna riserva sulle buone intenzioni di del ex-milanista, ma in Italia stiamo capendo, a caro prezzo, che un presidente di una squadra di calcio, anche se “ha vinto tutto”, non è obbligatoriamente un buon politico. Pensate che un ottimo centravanti potrebbe fare meglio?

lunedì 7 giugno 2010

gare de lyon - porta susa

Gare de Lyon 07.42, Torino Porta Susa 13.17, niente di più semplice. Sali sul treno con ancora l’odore di croissant au beur nelle narici, chiudi gli occhi e ti svegli solo dopo qualche ore per vedere la campagna lyonnaise. Il giornale ancora intatto comprato alla stazione della metro e la tranquillità di iniziare una breve giornata di lavoro solo nel primo pomeriggio. Non c’è nulla di più invitante, per essere un lunedì, è ovvio.

L’Unione Europea ha abbattuto i confini e le dogane interne, ma su questo treno c’è sempre un breve controllo. Solo qualche giorno fa sulla tratta inversa, Torino-Parigi, 6 poliziotti francesi, di cui due con delle belle divise con su scritto Douane, saliti sul Tgv hanno controllato i documenti di tutti e diversi bagagli. Negli ultimi anni ho preso sovente questo treno e capita piuttosto raramente che le forze dell’ordine invitino qualche passeggero a scendere e a seguirli per ulteriori controlli.

Il treno si ferma a Modane e lascia salire due poliziotti italiani -­qui giù tutti a piangere miseria sulle terribili condizioni in cui si trovano le nostre forze dell’ordine, dove i francesi ne mettono 6, noi solo 2- accompagnati da una bionda collega della police nazionale. Che sono connazionali lo potrei scoprire anche se indossassero una divisa di un altro stato, infatti non procedono con il controllo dei documenti di tutti i viaggiatori, bensì si rivolgono solo alla persone di colore del vagone. Ci sono circa 100 persone, di cui 3 evidentemente extracomunitarie: una ragazza africana, un giovane dell’asia meridionale e un attempato signore magrebino, che con il suo zuccotto nero ha letto per tutto il viaggio un libro arabo dalle scritte colorate. I poliziotti chiedono i documenti a 5 o 6 persone, o meglio qualche francese sporge la propria carta d’identità e i due agenti fanno finta di leggere i dati di qualcuno, ma la loro attenzione va tutta per i tre “evidentemente extracomunitari”.

Mi vergogno di vivere in un paese con delle forze dell’ordine così razziste.

Prendendo questo treno andando a Parigi avrei paura anche solo di portarmi dei petardi o des petards, per i controlli della polizia francese, mentre a ritornare in italia non c’è problema, potrei avere nelle valigie non bottiglie di vino, ma dell’esplosivo e nessuno mai mi controllerebbe: questa mia faccia da meridionale vale più che un passaporto diplomatico africano per le nostre forze dell’ordine.