giovedì 29 aprile 2010

il calcio dei rifugiati

Come buona parte dei cittadini italiani, anche io ieri sera mi sono visto le due ore di partita tra il Barcellona e l’Inter. Non sono un fanatico di calcio, anzi diciamo che mi annoia pure un pò, ma per un motivo o per un altro me ne faccio sempre una buona dose. Ieri sera è stata però la più singolare di tutte le partite che ho visto e non per la partita in se, ma per il luogo dove l’ho vista e perché non mi capita sovente di vedere una partita con il commento in arabo.

In via Bologna, a Torino, c’è uno stabile comunale che ormai da anni è occupato, al momento ci vivono tra i 70 e i 90 rifugiati politici. Vengono da tutti i posti che noi siamo abituati a sentire solo al telegiornale, quei paesi dove noi “occidentali” mandiamo i nostri eserciti per portare la pace. Circa 40 di loro ieri sera sedevano con me davanti a un minuscolo televisore a 14 pollici, per guardare la semifinale di Champions League. Probabilmente anche molti dei militari italiani in missione guardavano la partita ieri sera e vicino a loro c’erano i mezzi d’assalto e le armi necessarie per portare la pace.

I ragazzi che con me vedevano la partita ieri sera, sono rifugiati politici in Italia, la maggior parte parla italiano più di quanto un soldato italiano saprà mai parlare afgano o somalo. I ragazzi che vivono in via Bologna, scappano ognuno dal proprio paese in guerra, da una storia di violenza e persecuzione. I “nostri” militari sono disposti ad andare fino in Asia per portare la pace, ma lo Stato italiano non è capace nemmeno di trovare una casa ai profughi che arrivano in Italia per scappare da quelle guerre che i “nostri” soldati combattono.

Ieri sera qualcuno tifava Barcellona e altri tifavano Inter, non tanto per amore di una squadra, quanto piuttosto per i giocatori che militano nei due club, inutile dire che Eto’o, raccoglie i più grandi consensi. Una cosa però accomunava tutti: il fatto che tra pochi mesi tiferanno tutti Italia, perché “l’Italia ci ha accolti”. Come li ha accolti?

Finita la partita faccio un breve giro per la casa, dove si dorme in giacigli di fortuna e la si cucina e in un sottoscala, le condizioni igieniche generali sono terribili. L’Italia li avrà accolti, ma il massimo che sappiamo fare è dar loro la possibilità di occupare uno stabile fatiscente sotto la continua minaccia di essere sgomberati e diventare sfollati in Italia oltre a essere rifugiati. Paradosso dei paradossi noi andiamo a casa loro con le armi, distruggiamo tutto in nome della pace, loro vengono in Italia per sfuggire alle guerre che noi combattiamo o finanziamo e le uniche cose che sappiamo dargli è un permesso di soggiorno e una stretta di mano. La guerra in Afghanistan costa all’Italia 2 milioni di euro al giorno, cosa potremmo fare con quei soldi se i nostri soldati si prendessero un paio di settimane di ferie?

lunedì 26 aprile 2010

storie di povertà

Chi mi conosce anche solo un po’ sa quanto facilmente posso trasformare una normale conversazione in uno scontro epico. Qualche sera fa mi sono ritrovato dopo cena con una persona che non stimo particolarmente, ma con la quale cerco di avere il più onesto scambio di idee, almeno per quanto sia possibile con un venticinquenne più conservatore della regina Elisabetta.
Dopo poco meno di dieci minuti in cui il mio interlocutore si lamentava dei pochi soldi che il governo ha destinato al comparto auto, siamo finiti sul duro argomento della povertà che sta attanagliando tutta Italia. La mia controparte ha esordito dichiarando che in Italia “nessuno muore di fame” e che “lo Stato non ha soldi da dare a tutti, perché se li avesse li ridistribuirebbe”.
Oggi sono venuto a conoscenza della storia di una signora che vive a pochi isolati da me, nel centro della Torino che ha creato il suo benessere proprio sull’automobile. La storia di questa donna non ha nulla di speciale, la cosa che mi ha colpito è proprio la sua normalità: vedova, da pochi anni ultra-sessantacinquenne, da sempre casalinga, percepisce la pensione minima. Non è una signora colta ne possiede gli strumenti necessari per riuscire a muoversi efficacemente nel labirinto di sgravi fiscali e diritti del cittadino in difficoltà economica.
La signora percepisce poco meno di 600 euro di pensione, cifra che le permetterebbe di vivere dignitosamente se non dovesse pagare un affitto, ma da tre anni lei vive in un albergo. Il padrone di casa, dove ha vissuto tutta la vita con il marito, ha iniziato a farle pressione perché lei lasciasse l’appartamento. La signora ha lasciato l’alloggio senza nemmeno battersi per il suo diritto di vivere la sua vecchiaia nella casa che occupava da anni. Questo fatto le ha sbarrato le porte per poter accedere a qualsiasi aiuto da parte del comune, infatti avendo lasciato la casa “volontariamente”, cioè senza aver ricevuto allo sfratto, non ha il diritto di entrare nelle graduatorie per l’emergenza abitativa, cioè di poter accedere alle case popolari.
La sua scelta è stata quella di rifugiarsi in una pensioncina nel quartiere dove ha sempre vissuto, per la quale paga 450 euro al mese. Facile capire che di soldi per mangiare gliene rimangono pochi. Sta provando a tirarsi fuori da questo vortice, ma è difficile. Nessuno vuole affittare a una persona così esposta alla povertà inoltre non si può permettere di rivolgersi a un’agenzia immobiliare e, come già detto, le è impossibile l’accesso agli strumenti di aiuto messi a disposizione dagli enti preposti.
La forbice tra le sue spese e le sue entrate è così stretta che basterebbe un imprevisto per rendere la signora impossibilitata a pagare la pensione o a non mangiare, rendendola così esposta al rischio di diventare una senza fissa dimora.
Vorrei che storie come questa fossero di pubblica conoscenza, in modo che anche il mio carissimo venticinquenne conservatore possa muoversi dal suo mondo dorato e capire che la povertà esiste e se questa non è visibile è perché siamo molto bravi a non voler vedere per non essere messi a disagio.

venerdì 23 aprile 2010

un incubo

Le corporazioni sono un male profondo dell’Italia, non abbiamo le lobby ma abbiamo tanti di quegli ordini professionali che non si fa in tempo a contarli. Oggi mi sono infilato a una conferenza per giuristi dove sono presenti le corporazioni più connesse e omogenee che si possano immaginare: gli avvocati, i notai, i magistrati e i professori universitari di diritto. Ovviamente le posizioni politiche dei singoli sono tra le più disparate questo però non li differenzia tra loro per abbigliamento e vocabolario. Gli uomini hanno tutti giacca e cravatta, i più estrosi hanno cravatte di colori sgargianti, tutti hanno una borsa di cuoio, la stragrande maggioranza porta eleganti montature per occhiali in metallo. Le donne hanno tutte giacche nere con camicette di seta dai colori tenui, il taglio dei capelli è talmente omogeneo che sembra una caricatura: tanti caschetti, chi bionda e chi bruna, chi riccia e chi tinta, chi con la frangia e chi con la riga di lato, ma per tutte il taglio e sopra le spalle e con i capelli sciolti.

Poi uomini e donne parlano con lo stesso vocabolario, sicuramente ricco, ma in cui ricorrono sempre certe espressioni e non per forza di matrice giuridica. Un’ultima osservazione è sugli stravaganti che sono i più anziani e probabilmente i più ricchi e a affermati, mentre i giovani sono i più “pinguini” di tutti.

Ed io con le mie continue espressioni che ho saccheggiato dalle lingue che mi hanno circondato, con la mia borsa che è di cuoio ma che proprio non ha la forma di cartella, con i miei jeans trucidi e la mia capigliatura scomposta. Mi sembrava si essermi svegliato nel drive-in di Lansdale.

giovedì 15 aprile 2010

il leghista Gordon Brown

Il 6 maggio gli inglesi andranno al voto, naturalmente i media del belpaese hanno deciso che poco interessa agli italiani della politica degli altri paesi europei. O meglio ci interessiamo solo alle cose più importanti: non so, la crisi coniugale tra Sarkozy e la Bruni, ma sempre dimenticandosi di raccontare che il presidente francese ha fatto licenziare il giornalista e il caporedattore che hanno trovato e pubblicato la notizia.
Il Regno Unito dopo tre mandati con un governo di centro-sinistra è pronto a cambiare pelle. I sondaggi dicono che Gordon Brown parte in svantaggio rispetto al suo diretto sfidante Cameron. Quale risposta i laburisti hanno preparato per riconquistare un po’ di voti? Semplice, se la prendono con gli immigrati. Una cosa è chiara a tutti i politici europei: per prendere più voti bisogna prendersela con chi non vota, con chi è diverso, così tutti gli altri, il grande gregge, potranno votare non per qualcuno, ma contro qualcuno, contro gli stranieri, che fanno tanta paura.Il partito laburista ha deciso di scrivere un manifesto per le imminenti elezioni, nel quale si può leggere che “l’immigrazione è controllata, che le regole sono ferme e chiare”, passaggio condivisibile come lo è quello che condanna l’immigrazione clandestina, per poi arrivare a dire che agli uffici di collocamento ci sarà una corsia preferenziale per gli inglesi e che per gli extracomunitari che arrivano in Europa senza delle competenze specifiche sarà sbarrata la strada.
Il pezzo più interessante è però questo: “Poiché crediamo che venire nel Regno Unito sia un privilegio e non un diritto, romperemo l’automatismo fra la permanenza per un determinato periodo e la possibilità di ottenere la cittadinanza. In futuro restare qui dipenderà dal sistema a punti e l’accesso ai benefici sociali sarà progressivamente riservato ai cittadini britannici e ai residenti permanenti”. Non so come suona questo per voi, ma mi sembra che un leghista avrebbe potuto usare le stesse parole.
Come tanti a vent’anni ho preso armi e bagagli e sono andato a Londra per vivere il mio momento di libertà suprema. La cosa che più mi colpì fu il vedere una città dove così tante culture avevano possibilità di esprimersi. Spero che tra qualche anno mio fratello, che ora ha 9 anni, abbia la possibilità di “scappare” a Londra e che trovi un clima simile a quello che mi accolse nella sua intercultura. Sarà dura.

martedì 13 aprile 2010

arresta il chirugo!

In Afghanistan non ci sono i buoni e i cattivi, non esistono due schieramenti con ruoli ben definiti. Da una parte c’è un presidente, Karzai, eletto con scrutini truccati, i brogli sono stati ampiamente denunciati dagli osservatori internazionali. Dall’altro lato ci sono i talebani, quelli che starebbero nascondendo da quasi dieci anni Osama Bin Laden.

Senza infilarci nel dire il che e il perché, due sono le cose che meritano di essere menzionate. La prima è sicuramente che i talebani li hanno “creati” gli statunitensi, questo è un passaggio talmente vero che lo hanno messo pure in un film Stallone, cioè in uno di questi action movie, che tutto vogliono fare tranne prendere posizioni politiche scomode. In una delle sue avventure Rambo combatte a fianco dei combattenti per la libertà, leggasi i talebani, per sconfiggere l’invasore russo. Il secondo punto che va sottolineato è che il potere dell’attuale presidente afgano dipende completamente dalla politica mediorientale degli Usa. Karzai negli anni del suo primo mandato si è distinto per la capacità di buttare via i soldi che la Comunità Internazionale invia in Afghanistan, creando di uno degli stati più corrotti del mondo.


Con queste premesse se io fossi un afgano sarei abbastanza incazzato con gli Usa: prima mi mandano al potere i Talebani integralisti e dopo li spodestano, mettendo un presidente che organizza i brogli alle elezioni e distribuisce mazzette per tutto il paese.

Se questo non bastasse possiamo dire che gli statunitensi guidano una missione militare di oltre 100mila uomini in Afghanistan, e che questi militari sono la causa di un terzo dei morti civili della guerra. Però gli Usa non fanno tutto questo da soli, si fanno dare una mano dai fidi cagnolini europei. La sola Italia spende per la guerra in Afghanistan, in rifornimenti militari di uomini e mezzi, più di due milioni di euro al giorno.

In tutto questo ci sono delle piccole organizzazioni che decidono di sbattersene di Usa e Europa e di andare ad aiutare questi afgani che da anni si beccano le bombe. Tra queste organizzazioni c’è Emergency. L’associazione di Gino Strada non dispone di tutti i soldi che spendono i governi, il bilancio del 2008 era di poco più di 16 milioni di euro, ma con le sue capacità finanziarie apre e gestisce decine di ospedali in tutte le zone di guerra del mondo. Per questo Emergency parla di guerra in termini di persone morte, ferite, mutiliate e traumatizzate. È politico dire che la guerra fa morti e per questo il ministro Frattini se la prende con Emergency.

Per questo parlare dei morti e dar la colpa della morte alla guerra i tre operatori di Emergency sono stati abbandonati dalla diplomazia italiana. Non so se ricordate casi di agenti dei servizi italiani che vengono uccisi in zone di conflitto. Per uno 007 che muore sparando si fanno funerali di Stato. Per un chirurgo italiano che opera nel posto più pericoloso del mondo si fa una puntata di Porta a Porta, dove il ministro degli Esteri non si impegna nemmeno a fare pressioni politiche in un paese dove da agosto avremo 3000 dei nostri migliori soldati.

lunedì 5 aprile 2010

cittadinanza piemontese


Per la Santa Pasqua tutta la famiglia si è seduta attorno al tavolo per dare sfogo alla insaziabile voglia di cibo che dilaga nei grandi raggruppamenti di consanguinei durante le feste. Eravamo poco più venti con un tavolo a parte per i minori di 14, che non hanno il diritto al calice di bollicine a fine pasto. Inutile dire che questo genere di pranzi non ha alcuna possibilità di durare meno delle 4 ore, ma in giornate come oggi si arriva tranquillamente anche a sei. Tutte queste ore e tutto questo cibo esistono solo se la conversazione è attiva e stimolante, tanto che alcune delle decisioni più strambe si prendono proprio in questi pranzi giustificate da lunghi e contorti ragionamenti di gruppo. Vi sono poi momenti di democrazia partecipativa: durante l’ultimo pranzo a casa dei miei la collettività ha deciso che eravamo troppo stretti ed è stato votata la possibilità di abbattere un muro. Può sembrare pazzesco, ma martedì mattina mia madre avrà a casa i muratori che le faranno metteranno fine alla divisione tra salotto e soggiorno.

In questo contesto si può ben immaginare che il tema del pranzo di oggi non potevano che essere le recenti elezioni regionali. Guardando il tavolo con occhio critico ci si vedeva seduti attorno un bel gruppo di professionisti: avvocati, un dirigente, un medico, un insegnante, un impiegato, l’ingegnere e l’artigiano. Tutta gente integrata e, a parte i due più anziani, tutti laureati. Ma ci siamo guardati e ci siamo detti qui nessuno di noi è piemontese, nessuno di noi è veramente “padano”.

Per la legge italiana il Ius Soli, diritto di cittadinanza per nascita, non è riconosciuto, se quindi il bambino di una coppia statunitense nasce in Italia sarà lui stesso statunitense e non potrà avere la cittadinanza per nascita. La domanda che è circolata per la tavola è stata se quindi noi tutti immigrati, di prima o seconda generazione, avessimo o meno la cittadinanza padana e se i nostri figli l’avranno per il solo fatto di essere nati in Piemonte. Secondo voi Cota ci rimanderà nei paesi in cui sono nati i nostri padri, sapete che vi dico: non l’abbiamo votato, ma se il Piemonte diverrà troppo verde potremmo decidere che la nostra cultura, la nostra professionalità, la nostra voglia di costruire una società sana stiano meglio in un posto dove non vengono fatte differenze tra padani e non. E forse, ma solo forse, in quel momento vorremo il federalismo fiscale, che lascerà il Nord pieno di infrastrutture vuote e il Mezzogiorno ricolmo di professionisti pronti a cominciare tutto daccapo. Cota non merita la mia famiglia.