lunedì 26 aprile 2010

storie di povertà

Chi mi conosce anche solo un po’ sa quanto facilmente posso trasformare una normale conversazione in uno scontro epico. Qualche sera fa mi sono ritrovato dopo cena con una persona che non stimo particolarmente, ma con la quale cerco di avere il più onesto scambio di idee, almeno per quanto sia possibile con un venticinquenne più conservatore della regina Elisabetta.
Dopo poco meno di dieci minuti in cui il mio interlocutore si lamentava dei pochi soldi che il governo ha destinato al comparto auto, siamo finiti sul duro argomento della povertà che sta attanagliando tutta Italia. La mia controparte ha esordito dichiarando che in Italia “nessuno muore di fame” e che “lo Stato non ha soldi da dare a tutti, perché se li avesse li ridistribuirebbe”.
Oggi sono venuto a conoscenza della storia di una signora che vive a pochi isolati da me, nel centro della Torino che ha creato il suo benessere proprio sull’automobile. La storia di questa donna non ha nulla di speciale, la cosa che mi ha colpito è proprio la sua normalità: vedova, da pochi anni ultra-sessantacinquenne, da sempre casalinga, percepisce la pensione minima. Non è una signora colta ne possiede gli strumenti necessari per riuscire a muoversi efficacemente nel labirinto di sgravi fiscali e diritti del cittadino in difficoltà economica.
La signora percepisce poco meno di 600 euro di pensione, cifra che le permetterebbe di vivere dignitosamente se non dovesse pagare un affitto, ma da tre anni lei vive in un albergo. Il padrone di casa, dove ha vissuto tutta la vita con il marito, ha iniziato a farle pressione perché lei lasciasse l’appartamento. La signora ha lasciato l’alloggio senza nemmeno battersi per il suo diritto di vivere la sua vecchiaia nella casa che occupava da anni. Questo fatto le ha sbarrato le porte per poter accedere a qualsiasi aiuto da parte del comune, infatti avendo lasciato la casa “volontariamente”, cioè senza aver ricevuto allo sfratto, non ha il diritto di entrare nelle graduatorie per l’emergenza abitativa, cioè di poter accedere alle case popolari.
La sua scelta è stata quella di rifugiarsi in una pensioncina nel quartiere dove ha sempre vissuto, per la quale paga 450 euro al mese. Facile capire che di soldi per mangiare gliene rimangono pochi. Sta provando a tirarsi fuori da questo vortice, ma è difficile. Nessuno vuole affittare a una persona così esposta alla povertà inoltre non si può permettere di rivolgersi a un’agenzia immobiliare e, come già detto, le è impossibile l’accesso agli strumenti di aiuto messi a disposizione dagli enti preposti.
La forbice tra le sue spese e le sue entrate è così stretta che basterebbe un imprevisto per rendere la signora impossibilitata a pagare la pensione o a non mangiare, rendendola così esposta al rischio di diventare una senza fissa dimora.
Vorrei che storie come questa fossero di pubblica conoscenza, in modo che anche il mio carissimo venticinquenne conservatore possa muoversi dal suo mondo dorato e capire che la povertà esiste e se questa non è visibile è perché siamo molto bravi a non voler vedere per non essere messi a disagio.

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