mercoledì 23 dicembre 2009

Le scuse di Jimmy

Jimmy Carter è stato il trentanovesimo presidente Usa, nel quinquennio a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Durante il suo mandato ci fu la rivoluzione iraniana, che provocò la crisi degli ostaggi nell’ambasciata statunitense, e nel 1980 gli Usa invasero l’Afghanistan. Anche a lui come a Obama è stato conferito il premio Nobel per la Pace, il riconoscimento gli fu assegnato nel 2002 “per l’impegno instancabile per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali”.

Grande merito diplomatico di Carter furono gli accordi di pace di Camp David tra Israele ed Egitto del 1978, tra Begin e Sadat, entrambi premio Nobel per la Pace quello stesso anno. Proprio questo ruolo di primo piano in questa negoziazione catapulta Carter nella polveriera mediorientale. Da sempre acceso sostenitore dei diritti dell’uomo l’ex presidente nel 2006 pubblica un libro dal titolo molto esplicito: “Palesatine, Peace not Apartheid”. La tesi del libro affianca la politica israeliana a quella degli afrikaner sudafricani: sulla stessa terra vivono due popoli, uno di essi domina e reprime con la violenza i diritti dell’uomo dell’altro. Per questo libro Carter fu indicato come antisemita. Per capire meglio con quale clima è stato accolto il libro, si può vedere il documentario “Jimmy Carter Man from Plains”, del premio Oscar Jonathan Demme.

Notizia di questi giorni è la lettera, indirizzata alla JTA -Jewish Telegraphic Agency-, in cui Carter chiede scusa alla comunità ebraica americana per “aver stigmatizzato Israele”. Il presidente statunitense, 85 anni, che più si è battuto per i diritti dell’uomo e che ha ottenuto gli accordi di pace più duraturi per il medioriente come ultimo gesto politico deve inchinarsi alle potentissime lobby pro-israele.



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