mercoledì 17 febbraio 2010

agrumi etici

Gli agrumi fanno bene, questa è una delle poche lezioni di educazione alimentare che ricordo. Quando vado al mercato riempio buste enormi di arance che una volta spremute riempiono il mio bicchiere. Poi le arance a Porta Palazzo costano proprio poco, con un paio di euro ti porti via più chili di quanti sia umano trasportarne. Un’altra cosa positiva è che facilmente i produttori sono italiani e questo mi fa sentire meno in colpa, perché se arrivassero dalla Spagna questi frutti sarebbero causa di un inquinamento non necessario.

Però a pensarci bene è da un po’ che non ne compro più, forse dai primi di gennaio. Si, si, da quando c’è stato quel casino a Rosarno. Adesso mi ricordo, c’era quella storia di tutti sti africani che raccoglievano arance e mi sono accorto che quasi tutti mercatari segnalavano la Calabria come zona di provenienza delle arance. Ecco perché costavano così poco: la manodopera per raccoglierle costa pochissimo e sovente non la si paga.

Adesso girando per il mercato si vedono ancora le scritte “provenienza Calabria”, ma di meno, noto invece sempre di più una marca: Jaffa. Non c’è scritta la provenienza, ma basta poco per immaginarsi che siano israeliane. Jafa è la città araba accanto alla quale è stata costruita Tel Aviv. Non mi dilungo su Jafa e su come sia stata uccisa dalla colonizzazione israeliana, di come i suoi abitanti siano stati costretti a fuggire a nel 1948, ne vi racconterò della bellezza araba-mediterranea che si scopre passeggiando per le poche stradine che sono state conservate.

Una cosa mi sembra interessante annotare, come le arance che vengono da Israele costino poco di più di quelle che vengono dalla Calabria. Se fossi un’attivista vi direi che i prezzi bassi sono dovuti al fatto che ci sono buone possibilità che gli aranceti della Jaffa si trovino su terre che sono state sottratte ai palestinesi e che l’azienda si può permettere dei prezzi stracciati perché non deve ammortizzare il costo dei campi, ma non sono un’attivista, o almeno non sono così stupido da raccontarvi che un fatto avvenuto 62 anni fa possa ancora pesare così tanto sui prezzi odierni. Questo non toglie che quelle terre in larga parte appartengano a dei palestinesi che le dovettero abbandonare e subito dopo lo stato israeliano se ne impossessò.

Sicuramente più interessante è sapere che un palestinese ha accesso a un decimo dell’acqua a cui ha accesso un israeliano e che in un territorio quasi desertico, queste nove parti in più hanno un bel peso sull’agricoltura. Se a questo fatto aggiungiamo che le arance per crescere hanno bisogno di una gran quantità d’acqua, mi viene da pensare che forse a una multinazionale, come la Jaffa, fare arance su terre rubate e con acqua rubata gli conviene.

Devo però ammettere che alla Jaffa sono molto furbi: ho visto oggi un video, che trovate nel post, in cui una bella bionda ricarica il suo iphone con delle arance. Nel video si vede tre volte il marchio Jaffa, una volta su un arancio e due volte sulle cassette di cartone. Il giornalista che rilancia il video su Repubblica TV sembra non accorgersene, dal commento accanto sembra dire che la pubblicità sia per l’iphone, che di pubblicità ormai non ha più bisogno, semmai è lo stesso telefono della Apple a far pubblicità alle arance.

Vi lascio con una domanda, vi sembra eticamente più corretto comprare le arance che vengono da Rosarno, dopo aver scoperto come vivono i raccoglitori, o comprare le arance che arrivano da Israele sapendo che per farle crescere è stata tolta acqua a interi villaggi palestinesi per delle settimane? A me fanno schifo entrambe le possibilità, mi sa che vado a comprarmi le mele di Saluzzo.

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